Io conto
Il problema è che io conto. Non nel senso di “io valgo”.
Certo valgo anche io. Cioè immagino di valere.
Maledetta autostima.
Insomma non divaghiamo.
Io conto nel senso di uno, due, tre …
Per la precisione, io conto i bambini.
Ho iniziato quando lavoravo in comunità per minori. Accompagnavo i bambini a scuola e contavo.
Uno, due, tre, quattro. Ci sono tutti. Attraversiamo al semaforo e uno, due, tre, quattro ci sono tutti.
Anzi a pensarci bene ho iniziato prima, quando facevo l’animatrice all’oratorio.
Uno, due, tre … perché in gita a Gardaland non li potevi perdere di vista e dovevi portarli a casa tutti.
Allora a intervalli regolari uno, due, tre … io contavo.
Ora conto i miei figli.
Uno. Due. Tre.
Il problema vero, in realtà, è che li conto anche quando non ci sono.
Salgo dalla metropolitana , Milano è bellissima, persone nei bar per l’aperitivo.
Io sono anche vestita carina, i tacchi e la borsa portata sul braccio.
Sono sola e sto proprio bene.
Ma conto.
Uno: dalla nonna.
Due: dall’altra nonna.
Tre: in piscina con la zia.
Ecco.
Il mio problema è che io conto.
E non sono mai tutta in un posto solo.
Ho sempre pezzetti di testa, cuore e pancia altrove.
Con e senza sensi di colpa
In questi quattro giorni abbiamo dormito insieme nel lettone.
Hai abbracciato un regalo, che era da tanto che desideravi un regalo, non quello lì, ma un regalo, perché in questo mese d’Aprile in cui tutti compiono gli anni, tu sei l’ultimissima a chiudere i festeggiamenti e il mese diventa lunghissimo.
Hai spento le candeline un sacco di volte.
Siamo andate alla manifestazione del 25 Aprile ed eri felice.
Ti sei commossa mentre un partigiano ricordava un giorno di sole in cui era in prigione e l’hanno liberato.
Ti sei intimidita quando ti ho portato a salutarlo, lui che, quando eri ancora nella pancia della mamma, aveva detto che saresti nata proprio il 25 Aprile di cinque anni fa.
Hai detto che però a quella festa per la fine di una bruttissima guerra avrebbero dovuto chiedere casualmente: “Qui c’è qualcuno che è nato il giorno della Liberazione?”.
Siamo andate al parco giochi, tanto avevamo tempo.
Abbiamo comprato i pasticcini con le fragole che piacciono a te.
Abbiamo fatto insieme una torta a forma di riccio con tutti gli aculei, che poi erano pinoli, messi da te.
Abbiamo mangiato fuori, insieme, un sacco di schifezze.
Hai scelto un libretto in un negozio e poi non hai voluto andare sulle giostrine perché avevi già avuto il tuo regalo.
Mi hai accompagnato a bere il caffè al bar.
Hai mangiato fagiolini con aceto balsamico come se non ci fosse un domani.
In tanti ci hanno invitato a pranzo e cena e noi ci siamo andate con allegria, che quando siamo troppi non ci fanno mai inviti al volo.
Abbiamo fatto la spesa insieme in un supermercato affollatissimo, divertendoci come non mai a fare lo slalom col carrello.
Abbiamo fatto insieme delle borsine di carta decorate molto rosa e sbarluccicose, incollandoci le dita qua e là.
Hai giocato da sola un sacco nella tua stanza, che ho controllato se eri viva, perché di solito non stai più di 5 minuti a giocare per conto tuo.
Siamo andate in bicicletta nell’unico giorno di sole che c’è stato, perché tu sei diventata bravissima ad andare senza rotelle, che sembri una bambina grande.
Abbiamo riso tantissimo e avuto conversazioni profonde e surreali, circa l’unione che fa la forza, ma anche la paura e la felicità secondo te la fanno.
Ci siamo abbracciate e baciate un sacco.
Abbiamo preso un sacco di pioggia e tu stretta a me in braccio chiedevi se Gesù di cognome si chiama Nazareth o come si chiama Yoda di cognome e hai concluso che, senza offesa, non ti sembra che io sia esperta di cognomi, e intanto ci bagnavamo tutte e ridevamo.
Hai domandato se finché non tornavano i fratelli potevamo decidere solo tu e io cosa mangiare, dove andare, a cosa giocare …
Hai constatato con sorpresa che non litigava e gridava nessuno, che a pensarci bene in due e “in luna di miele” è difficile litigare.
Hai chiesto con freschezza e schiettezza se i fratelli non possono andare più spesso in gita.
Poi ieri a poche ore dal rientro dei fratelli ti sei messa a piangere e hai detto che questi giorni sono stati terribili, che hai sentito tantissimo la mancanza dei fratelli e che vuoi festeggiare ancora il tuo compleanno con tutti i fratelli (che poi son sempre due) e spegnere ancora le candeline.
E così a me, che ero un po’ triste e un po’ felice che tu eri stata così bene sola con me, è passato tutto.
E oggi è tutto straordinariamente normale
(e mi tocca fare un’altra torta)
Disattenzione
Il Sindacalista sale a casa di FisicoZio a prendere la borsa del nuoto di WinnieNipote, che pomeriggio verrà con noi in piscina.
Bamamma aspetta in macchina. Piccoli piaceri di avere un figlio abbastanza grande dal mio punto di vista, sfruttamento minorile dal punto di vista del Sindacalista.
“Lo zio ha detto che la tessera della piscina e la biancheria pulita sono dentro da qualche parte nello zaino.”
“Un’informazione molto precisa, mi pare.”
“No, in realtà mi ha detto dove, ma ero disattento. La disattenzione è una mia qualità.”
“Una qualità?”
“Certo, perchè mi permette di pensare alle cose che mi interessano.”
Se becco la pedagogista che gli ha insegnato a trasformare i problemi in risorsa …
Questa casa non è un albergo
Metti che sei reduce dalle vacanze di Natale, tutti insieme appassionatamente minuto per minuto.
Metti che è da una settimana che hai un attacco di cervicale feroce con mal di testa fisso, tanto che hai messo all’asta la tua testa.
Metti che nel bel mezzo della settimana tua figlia piccola viene colpita e affondata dal malefico virus vomitoso.
Metti che sta meglio ma non tanto da tornare a scuola.
Metti che hai stirato perline Ikea, giocato a Didò, acquerelli, Giro dell’Oca, disegni, fatto l’assistente di Art Attack e visto la Casa di Topolino e Lady Oscar per a lungo, troppo a lungo.
Metti che quando all’improvviso si è rotto il decoder (“Mamma metti quarantatrè Rai Yoyo”) non sapevi se ringraziare il cielo o farti venire un attacco di panico.
Metti che la bambina che sta meglio, ma non bene, ma che ha smesso di vomitare inizia, a dire che ha mal di orecchio.
Ora al termine di questa settimana, quando tutto assume di nuovo una parvenza di normalità – sempre precaria -, tu e l’Ingegnere decidete di andare a cena fuori. Così, come una boccata d’aria.
“Stasera vengono la zia e la nonna perché io e papà andiamo fuori a mangiare.”
“Noooo, non potete. Vengo anche io, posso?”
“No Bimba Cartone Animato, io e papà abbiamo bisogno di stare un po’ soli.”
“Ah , e cosa avete intenzione di fare?”
“Caro il mio Sindacalista, suppongo che abbiamo intenzione di mangiare, ad esempio.”
“Ah… e a che ora pensate di tornare?”
“Penso verso le undici…. ma a te, scusa, cosa interessa?”
“Cioè dalle otto alle undici? Tre ore per mangiare?”
“Magari facciamo altro, beviamo qualcosa …”
“Bevete? Non potete! Poi papà guida, esce di strada e finite in un fosso.”
“Non ho detto che ci ubriachiamo, ho detto che mangiamo, beviamo qualcosa nei limiti consentiti dalla legge … chiacchieriamo … ”
“E magari vi baciate anche? No, non se ne parla, non potete uscire a cena, perché poi da cosa nasce cosa, e mi fate una sorella femmina ancora.”
No, adesso io devo chiedere il permesso di uscire con mio marito e sentire pure le raccomandazioni surreali di mio figlio?
Comunicazione pseudo efficace
Scena: interno macchina di ritorno dal corso di nuoto.
Bamamma devastata da un attacco di cervicale, in piedi grazie a punture di antidolorifici e miorilassanti, a cui si aggiungono drammaticamente i postumi della “sauna” in piscina.
Tre figli tre, lavati e stirati post piscina, incredibilmente collaborativi, viste le condizioni in cui versa la vecchia genitrice, ruminano gomma da masticare gusto frutti tropicali diffondendo l’olezzo un filino nauseabondo per tutto l’abitacolo.
“Mamma alla scuola materna BimbaGrandeA e BimbaGrandeB mi dicono che il mio disegno è bello, poi piano piano nelle orecchie si dicono che è brutto e ridono! E io mi arrabbio!”
“Cavolo, ti senti triste e arrabbiata!”
“Streghetta i casi sono due: o disegni male davvero o gli devi spaccare la faccia. Dicono che è brutto? Spam gli tiri un pugno – ma forte eh – e gli spacchi la faccia!”
“No, Streghetta, non ascoltarlo. Tu gli chiedi <<Conoscete Picasso?>> e se ti dicono di no, gli dici: <<Picasso è un pittore che ha rivoluzionato l’arte, introducendo il cubismo. Se non conoscete Picasso, non conoscete l’arte e non potete giudicare i miei disegni>>”
“Ah.”
Silenzio.
“Allora che soluzione ti pare migliore, quella della BimbaCartoneAnimato o quella del Sindacalista?”
“Uhm… penso che se lo fanno ancora lo dirò a LaMaestra (silenzio) Mamma?”
“Dimmi piccola.”
“Dobbiamo iscrivere il Sindacalista ad un corso di cicca, perché non è capace di fare le bolle e soffia e sputacchia.”
Duemilacredici
Dopo un’assenza piuttosto lunga, riparto con questo nuovo 2013 duemilacredici, presentatovi una nuova gradita collaborazione.
Dal mese di Dicembre 2012, collaboro con MammeAcrobate e sul loro sito troverete regolarmente alcuni post miei dedicati al tema scuola e famiglia.
Vi segnalo due articoli già pubblicati, su un argomento che possiamo definire “caldo” per molte famiglie, visto le imminenti iscrizioni alla scuola ed in particolare alla prima classe della scuola primaria:
- La scelta della scuola: come scegliere la scuola per i nostri figli? Quali criteri possono guidarci?
- Per approfondire, POF: un aiuto alla scelta della scuola in cui trovetrete qualche indicazione su come leggere un POF (Piano di offerta formativa) e come può aiutarci nella scelta della scuola più adeguata per nostro figlio.
L’utilità del corso di preparazione al parto
Non c’è nessuno al mondo che mi faccia arrabbiare quantitativamente e qualitativamente di più e meglio del Sindacalista.
Gliela riconosco come qualità e competenza.
Nessuno che mi faccia irritare in modo più viscerale. Dalla pancia.
Oddio. Un’altra persona c’è in effetti.
Me stessa.
E guarda caso le cose che mi fanno inc… alterare di mio figlio sono le stesse che rivedo in me.
Solo che io le vedo dall’alto dei miei quasi 42 anni. E forse non vorrei fargliele scontare.
Oppure, a pensarci bene e onestamente, mi innervosiscono e basta.
Per esempio una certa tendenza a procrastinare e una certa tendenza a non mettere a frutto tutte le proprie risorse.
Non sopporto chi ha dei doni e non li mette in gioco. Li spreca. “Finché non ti giochi le tue potenzialità, non le hai” dico lapidariamente a me stessa.
Ha solo undici anni, è un maschio, sta cambiando molto bla bla bla.
Ma nessun dialogo interiore mi aiuta quando arriva bello bello e non ha la minima idea della data in cui deve presentare un compito oppure non l’ha segnato sul diario. O non sa dove ha il diario … Oppure non studia e prende voti che definire brutti sarebbe reato, ma che sono frutto di non aver nemmeno fatto la fatica di estrarre il libro dallo zaino per arieggiarlo. Avrei dozzine di esempi.
E io mi infurio. In pieno sequestro emotivo, la tendenza sarebbe di far partire un predicozzo degno del Savonarola, oppure prospettare scenari futuri funesti e inquietanti “Se non impari a far fatica ora, quando avrai una famiglia da mantenere …”
Alla predica moralistica ci rinuncio per pudore di me stessa, se mai dovesse raccontarlo ai miei nipoti un dì o diventare fra qualche anno uno status su fb. Mi preservo anticipatamente l’immagine.
Sull’urlo liberatorio stento a trattenermi, confesso.
In realtà l’unica cosa davvero utile in questi casi è il corso di preparazione al parto.
Esatto: quello che ho fatto proprio per lui 12 anni fa circa.
Io l’ho detto che tutto quel respirare sarebbe servito a qualcosa. Respira respira respira.
E intanto che respiri non gli spacchi (metaforicamente s’intende neh!) la testa .
Quante volte partorisce una mamma?
Quante volte deve respirare nella straordinaria quotidianità di ogni giorno normale? Quante volte fa nascere lo stesso figlio nelle piccole difficoltà di ogni giorno?
Specchiandosi in un figlio che è tanto simpatico, ma vive in una dimensione parallela da cui qualche volta lo devi trarre e far nascere.
Respiri e butti fuori la tue aspettative e vedi che quello che hai di fronte è diverso, ma forse è anche meglio, solo se gli dai la possibilità di nascere e essere come vuole.
Respiri e ti partorisci come mamma ogni giorno.
A volte non riesci a respirare e tutto diventa più doloroso e faticoso.
Una mia amica, mentre ero intenta a inspirare e espirare vapori di rabbia, mi ha suggerito di cantare.
Bella idea.
Tuttavia, viste le mie doti canore non propriamente eccezionali, sarebbe una punizione troppo crudele anche per il Sindacalista. Io non amo i metodi educativi cruenti, lo sapete …
Però a pensarci bene potrebbe essere la riproposizione casalinga della scena in cui Fiona canta con gli uccellini. Io nella parte dell’orchessa e il Sindacalista nella parte dell’uccellino.
Perché, oltre a respirare, per nascere mamma serve molta ironia.
Coraggio e ironia.
E respirare.
Chi vuole canti. Io vi risparmio.
Donne gravide, farò uno strappo alla regola e vi darò un consiglio: fate il corso di preparazione alla nascita!
Primi giorni di futuro
Caro Sindacalista,
oggi coi tuoi piedoni salirai le scale della scuola. Le stesse che ho salito io trenta anni fa.
Le stesse che hai salito tu cinque anni e un sacco di centimetri fa.
Questa volta farai un piano in più perchè sei alla scuola secondaria.
Non ci sarò io ad accompagnarti come 5 anni fa. Ti guarderò mentre sali, perché ora quelle scale le devi fare tu. Da solo.
Già ti vedo che metti un piedone dopo l’altro, alto e magro, un po’ scoordinato, con lo zaino in spalla.
Troverai sicuramente qualcuno con cui parlare, perché è da quando hai 11 mesi che parli e quando sei ansioso e preoccupato parli anche di più, se possibile. Forse ti girerai per dirmi con gli occhi: “E’ tutto ok”. Un’affermazione e una domanda insieme.
Non salgo con te, ma ci sono, è tutto ok, so che sei agitato, so che hai voglia di imparare cose nuove. So che hai un bel casino in testa L’altro giorno ti ho detto arrabbiata: “Vieni qui!” e tu mi hai riposto: “No, non vengo”. Ho pensato: “Ecco, ora son cavoli, come lo sposto fino a qui?”, e mentre scandagliavo le opzioni ho detto più autorevole: “Ho detto di venire qui” e tu, per fortuna, ti sei alzato.
Sbuffando, polemizzando, ma sei venuto da me.
Perché sei un bravo bambino, in fondo in fondo.
Appena sveglio mi hai sussurrato: “Sono spaventato come un gattino”.
Preoccupato di non ricordarti di dare del lei ai professori. O che un bullo ti rubi la merenda: “Ho avuto un’idea: non porto la merenda!”.
Mi hai detto che ti posso chiamare bambino fino a quando vai in prima media. Quindi ho qualche ora ancora.
Non mi dispiace chiamarti ragazzo, sai? Sei il primogenito e io vivo le tue esperienze con intensità, mi immergo nei cambiamenti e con te tutto ha il sapore di una nuova avventura.
Spero che tu possa incontrare qualcuno che disseti la tua voglia di sapere e insieme la nutra e la faccia ardere.
Spero che tu possa sperimentare il fascino di imparare, sfidare la propria mente e scoprire le proprie risorse.
Spero che tu possa incontrare qualcuno che colga la tua unicità e la valorizzi. Che ti faccia battere il cuore e sentire emozioni.
Ti auguro che la tua classe sia un gruppo, perché in gruppo si va più lontano che da soli.
Vorrei che tu fossi in grado sempre più di esprimere e difendere le tue idee, ma ogni volta in modo rispettoso.
Vorrei ti insegnassero a mantenere il tuo sguardo originale e complesso sul mondo e insieme cogliere il punto di vista dell’altro.
Ti auguro di imparare cose nuove, ma soprattutto di imparare a imparare e crescere con maestri di vita e compagni di avventura.
Forse pretendo troppo da questi tre anni? Ma per te voglio il meglio.
Perché sono la tua mamma e le mamme sono creature buffe che vogliono il meglio per i loro figli, che significa anche un po’ di fatica e qualche graffio di qualità.
Vogliono che i figli non diventino grandi solo in altezza, ma grandi nel cuore e nella testa.
Perché lo meriti, il meglio.
Perché lo merita ogni bambino che mette i suoi piedi sulle scale della scuola e inizia a salire i gradini del suo futuro.
Del nostro futuro.
Perché un giorno sarai-sarete il medico, l’avvocato, l’idraulico, il politico, l’elettricista, lo scrittore, il maestro, il sarto …
E io voglio un medico, un avvocato, un idraulico, un politico, un elettricista, uno scrittore, un maestro, un sarto, o quello che sceglierai di essere per diventare te stesso, competente, appassionato, attento e rispettoso degli altri. Felice.
Ti voglio bene piccolo uomo, spero che te ne voglia anche tu.
Teniamoci in con-tatto, che tu mi possa trovare sempre un passettino indietro rispetto a te e non davanti.
Esercizio #12: prendersi cura di sè
Siamo arrivati all’ultimo esercizio per genitori consapevoli, proposto dagli autori del testo “Benedetti genitori; guida alla crescita interiore del genitore consapevole”.
E oggi parliamo di noi.
Il più grande dono che potete dare ai vostri figli è il vostro sé. Ciò significa che fare il genitore equivale a continuare a crescere nella conoscenza di sé e nella consapevolezza. Dobbiamo essere radicati nel momento presente per condividere ciò che di meglio e più profondo c’è in noi. Questo è un lavoro continuo, che può essere esteso trovando un momento per la tranquilla contemplazione in qualunque modo ci sembri adatto per noi. Lo abbiamo solo adesso. Usiamolo nel migliore dei modi, per il bene dei nostri figli e per il nostro.
Ci sono molti manuali che spiegano come essere genitori, cosa fare e cosa evitare. I dodici esercizi per essere genitori consapevoli invece ci riportano a noi stessi, al nostro essere piuttosto che al saper fare.
Essere genitori significa lavorare su noi stessi, coltivare un’autorevolezza interiore, perché nonostante gli eventi che accadono fuori di noi e che sono fuori dal nostro controllo, diventiamo capaci di non re-agire, assumendoci la responsabilità e sentendoci protagonisti delle scelte che compiamo.
Se il più grande dono che posso fare ai miei figli è me stesso, devo essere capace di prendermi cura di me.
Non posso dare qualcosa che non ho.
Solo impegandomi a vivere pienamente la mia esistenza, solo lavorando sull’auto-consapevolezza, sull’accettazione di me stesso come sono, riuscirò a dare ai miei figli la stessa accetazione incondizionata. Solo prendendomi cura della mia crescita e delle mie risorse personali, riuscirò ad aiutare i miei figli ad esprimere il loro potenziale unico.
Siamo noi gli adulti, siamo noi che dobbiamo vedere il punto di vista dei nostri figli e le loro emozioni, siamo noi che dobbiamo compiere scelte generose nei loro confronti, non stancandoci di dare amore, attenzione e disponibilità.
Ma è necessario trovare un equilibrio tra il dare nutrimento e il lasciare spazio, fare un passo indietro, riconoscere quando i figli possono fare da soli,dare responsabilità e fiducia e saperglielo comunicare in modo che non si sentano rifiutati. Quando dico spesso “sì” consapevolmente e con attenzione, posso dire “no” senza sentirmi in colpa.
Ancora di più, è fondamentale imparare a “prendersi cura di sé senza che questo avvenga a spese del figlio”.
Quando sono equilibrata, sto bene con me stessa, sono attenta a mio figlio senza essere ossessionante. Quando mi piaccio sufficientemente e ho una vita che mi soddisfa, so apprezzare le qualità di mio figlio, senza doverle sempre mettere in evidenza, senza investire esclusivamente su queste.
Se sono consapevole e mi prendo cura dei miei bisogni, posso riconoscere e prendermi cura dei bisogni dei mie figli, mantenendoli distinti dai miei.
Se sono capace di prendermi cura di me stesso, le mie parole e i miei gesti prenderanno vita dal mio “centro forte”, rimarrò in contatto con la mia interezza e connesso con i miei figli.
Se sarò capace ci continuare a crescere, diventare ciò che sono e scoprire le mie risorse, di queste potranno beneficiare sia i miei figli che io.
Non si diventa un buon genitore a pedate o frustate, sforzandosi alla virtù. La virtù verrà naturalmente in un genitore che sta bene nella sua pelle ed è contento della sua vita. Se il genitore è felice e disteso (anche se occupatissimo), il suo amore saprà espandersi e moltiplicarsi…
Crearsi per procreare …
Piacersi. Occuparsi di sé, valorizzarsi per avere la giusta distanza con i figli … Ogni genitore farà meraviglie con i suoi figli nell’apprendimento della vita, se si ama un po’, se si riconosce delle qualità, se le mette in opera e se è sufficientemente fiducioso nel suo avvenire perché sa ciò che vale …
C. Serrurier
Se avete perso gli esercizi precendenti, come ci insegnano i coniugi Myla e Jon Kabat-Zin, non è mai troppo tardi per introdurre la consapevolezza nella nostra vita e quando ci sentiamo pronti a lavorare con il qui e ora, quello è il momento perfetto per cominciare:
Esercizio #1 “Guardare con gli occhi dei nostri figli”
Esercizio #2 “Come i nostri figli ci vedono”
Esercizio #3 “Sovranità”
Esercizio #4 “Le aspettative dei genitori sui figli”
Esercizio #5 “I bisogni dei nostri figli”
Esercizio #6 “Quando ci sentiamo persi”
Esercizio #7 “Ascolta”
Esercizio #8 “Equilibrio”
Esercizio #9 “Chiedere scusa”
Esercizio #10 “Ogni figlio è speciale”
Esercizio #11 “Limiti e aperture”
Esercizio #11: limiti e aperture
Siamo arrivati al penultimo esercizio per essere genitori consapevoli.
Riconoscere i bisogni dei figli, capire il loro punto di vista, onorare la loro sovranità, accettarli per ciò che sono, non significa essere ingenui e farci andare bene tutto ciò che accade. Anzi è un esercizio di consapevolezza saper comunicare in modo efficace quale è il limite che desideriamo non si oltrepassi.
Ci sono momenti, molti importanti, in cui abbiamo bisogno di esercitarci ad essere chiari, forti e non equivoci con i nostri figli. Consentite che questo avvenga il più possibile nella consapevolezza, nella generosità e nel discernimento e non per paura, ipocrisia e desiderio di controllo. Essere genitori consapevoli non significa essere troppo indulgenti, dominanti o controllori.
Siamo la “società del gusto puffo”… quando i nostri genitori andavano in gelateria trovano il gusto panna, cioccolato e al massimo fragola. Ed era facile scegliere.
Ora ci sono almeno 25 gusti tra cui il puffo, la nutella, cookie e chi più ne ha più ne metta.
Facciamo la differenza se, come genitori, consegniamo ai nostri figli la capacità di orientarsi e i criteri per fare delle scelte (le scelte poi le faranno loro!) in un mondo che propone mille opzioni.
Noi genitori cerchiamo a volte di soddisfare le loro richieste nel più breve tempo possibile o ci sostituiamo a loro con atteggiamenti iperprotettivi. Oppure dettiamo le regole e speriamo che “abbiano paura” abbastanza per rispettarle.
In entrambi i modi non li sollecitiamo a dare risposte personali alle situazioni, a tollerare e gustare l’attesa, a prendersi il tempo necessario per sviluppare le proprie risorse.
Per crescere con sufficiente fiducia in sé, i figli hanno bisogno di sentirsi guardati, ri-conosciuti, devono sentire che c’è qualcuno che si prende cura di loro e hanno bisogno di essere trattati con rispetto.
Hanno bisogno di limiti chiari e definiti ma anche sufficientemente ampi in cui potersi muovere e sperimentare.
I bambini che hanno genitori troppo permissivi e lassisti o, al contrario, troppo rigidi e autoritari non sviluppano una sufficiente autostima.
Non dare limiti significa avere presto a che fare con un bambino irritabile, stanco, annoiato, aggressivo, irrispettoso.
Dare limiti eccessivi e rigidi, ci farà avere un bambino che non crede nelle sue capacità di giudizio ed è spaventato, oppure che non si fida di noi e inizia a dirci bugie.
I figli si devono fidare dei genitori, quindi non dobbiamo essere una banderuola inconsistente o qualcuno da temere, ma dobbiamo essere autorevoli.
Difficile, molto.
Tanto più che i limiti non sono ricette fornite una volta per tutte e valide universalmente.
Ogni tanto è bene che ci chiediamo: perché c’è questa regola nella mia famiglia? A cosa serve?
Generalmente i limiti dovrebbero servire a sostenere il benessere dei nostri figli (non andare a letto troppo tradi, mangiare a un certo orario, non ingurgitare troppe schifezze, evitare di vedere programmi non adatti all’età del bambino, …) oppure ad evitare comportamenti che non rispettino gli altri (parolacce, botte, prese in giro, …).
Sto dicendo ”no” per uno di questi due motivi o per paura, ansia, perché sono arrabbiato, perché le mie aspettative non erano queste?
Sto dicendo “sì”, mentre vorrei dire “no”, perché voglio evitare lo scontro o perché mio figlio non mi consideri “cattivo”?
Fornire un limite chiaro e sicuro è espressione di amore e accettazione quando aiuta il figlio a imparare a prendersi cura si sé e a fare scelte sane.
Poi ci sono situazioni in cui c’è lo “strappo alla regola”, in cui la nostra sensibilità e buon senso ci inducono a essere flessibili.
Poi succede che quello che è un limite giusto per un figlio non lo è per un altro: quante mamme si ritrovano a tavola a dire a un figlio di mangiare e all’altro di smettere di mangiare, quanti papà mentre dicono a un figlio che dovrebbe impegnarsi di più nello studio, si trovano a dover sollecitare un altro a uscire o fare qualche sport?
Questo rende molto complesso il mestiere del genitore: richiede una grande consapevolezza del momento presente, dei bisogni di quel figlio in quel momento, a quella età e del nostro grado di tolleranza nella situazione.
A volte fare i genitori implica abilità di mediazione e negoziazione degne dell’alta diplomazia.
Con i bambini piccoli limitiamo le nostre reazioni al comportamento specifico, siamo fermi e amorevoli nell’indicare il limite, spiegando con poche e chiare parole.
Quando i figli crescono, le cose si complicano e strategie come cambiare argomento, distrarli o spostarli fisicamente non funzionano più.
Allora quando diamo un limite dobbiamo essere – se possibile – ancora più consapevoli di ciò che è bene e nell’interesse di quel figlio in quella situazione, determinati e in contatto con le nostre emozioni, capaci di comunicare in modo chiaro e fermo.
Qui potete trovare tutti gli esercizi precedenti:
Esercizio #1
Esercizio #2
Esercizio #3
Esercizio #4
Esercizio #5
Esercizio #6
Esercizio #7
Esercizio #8
Esercizio #9
Esercizio #10